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Con la crescita dei social media si va sempre più diffondendo la pratica dello “sharing”, ovvero la condivisione di contenuti con chi ci segue sui vari social network. Cosa condividiamo e perché lo facciamo dipende da tanti fattori. Dal tipo di social network usato, dal carattere della persona, dalle cose che le piacciono e dal tipo di emozione che prova in un determinato momento. 

Nel suo studio “The Psychology of Sharing”, il ‘New York Times’ ha classificato gli utenti in sei categorie in base alla loro modalità di condivisione. Curiosi di scoprire quali sono? 

  1. Gli Altruisti: sono persone riflessive e affidabili che condividono contenuti utili.
  2. I Boomerang: esperti del web, condividono qualunque cosa generi reazioni trovando conferme da commenti e condivisioni di parte di terzi. Spesso usano i social per lavoro, o comunque li conoscono come degli esperti. 
  3. I Selettivi: condividono contenuti di nicchia e non molto spesso. Non li vedrete quasi mai connessi, ma ogni volta che pubblicheranno qualcosa si tratterà (quasi) sempre di contenuti di qualità. 
  4. Gli Hipster: creativi e popolari tra le loro connessioni, spesso si tratta di giovanissimi. Danno un grande peso a come vengono visti dagli altri, per questo condividono contenuti raffinati e capaci di comunicare al meglio la loro personalità. 
  5. I Tipi in Carriera: condividono contenuti principalmente per accrescere e intrattenere la loro rete business. 
  6. I Connector: creativi, riflessivi, con uno stile di vita “no stress”, sono portati a utilizzare le condivisioni per creare momenti di aggregazione offline.

Le emozioni giocano un ruolo fortissimo nella condivisione di contenuti social, ed è per questo che chiunque si occupi di marketing digitale (e non) deve tenere conto di questi fattori. Abigail Posner di Google è tra i tanti esperti del settore a sottolineare l’importanza dell’impatto emotivo che un determinato contenuto crea nei confronti di chi lo condivide: “Bisogna comprendere il richiamo emotivo e i fattori chiave dietro la scoperta, la visualizzazione, la condivisione e la creazione di video online, fotografie e contenuti visivi. Quando condividiamo un video o un’immagine, infatti, non stiamo soltanto condividendo l’oggetto, ma stiamo condividendo soprattutto la risposta emotiva che crea”. 

Dietro ogni condivisione c’è sempre una motivazione. Magari inconscia, ma c’è. E lo studio del ‘New York Times’ rivela che i motivi scatenanti sono:

  1. Definire se stessi agli altri. Il 68% di chi ha risposto dice che i contenuti condivisi servono a dare un senso più approfondito della propria personalità agli altri.
  2. Aver cura delle proprie relazioni. Il 78% degli intervistati ha detto di condividere informazioni per rimanere connessi con persone con cui altrimenti non riuscirebbero a rimanere in contatto. 
  3. Sentirsi realizzati. Il 69% ha detto di condividere informazioni perché consente di loro di sentirsi maggiormente parte del mondo e della società. 
  4. Sostenere il passaparola di cause importanti. L’84% di chi ha risposto ha dichiarato che la condivisione è un ottimo modo per supportare cause a cui tengono particolarmente. 
  5. Intrattenere i propri contatti con contenuti interessanti e/o divertenti. Il 49% degli intervistati dal ‘New York Times’ dice che condividere serve a informare i propri contatti di qualcosa a cui tengono per incoraggiare delle azioni o far cambiare idea su qualcosa. 

Che ruolo giocano, quindi, le emozioni nella condivisione di contenuti online? Vediamolo insieme, raggruppando le emozioni in quattro macrocategorie:

  1. Felicità: la felicità, oltre che a donarci benessere, è una forte spinta all’azione. Donald Winnicot ha spesso parlato dell’importanza del “sorriso sociale”, e cioè di una felicità che aumenta solo quando è condivisa. Condividere contenuti positivi, quindi, significa condividere eccitazione. Lavorare molto su questa emozione farà sì che i vostri contenuti vengano visti come un contenitore di energia e quindi facilmente visti e condivisibili. 
  2. Tristezza: con la tristezza si crea empatia e forte socializzazione. Un contenuto triste avvicinerà maggiormente l’utente al contenuto, facendolo immedesimare in prima persona. 
  3. Rabbia: la rabbia genera discussione. Non a caso, sui social, i post con il più alto numero di discussioni ‘calde’ sono i cosiddetti “flame”, e cioè contenuti nati appositamente per generare rabbia e discussione. 
  4. Paura: stimola attaccamento e bisogno di sicurezza. I brand puntano spesso su quest’emozione. Uno studio pubblicato dal ‘Journal of Consumer Research’ ha dimostrato come i consumatori, in un momento di paura, sviluppino un forte attaccamento nei confronti del brand che gli è vicino in quel momento.

Un’ultima osservazione: gli scienziati cognitivisti utilizzano il concetto di “confirmation bias” o ‘errore di conferma’ per spiegare una buona parte delle nostre condivisioni. In pratica, ci capita di condividere tutte quelle notizie che confermano in qualche modo le nostre credenze e pregiudizi, ignorando quelle che invece andrebbero a confutarli. È chiaro che questo atteggiamento tipico della natura umana può risultare pericoloso: fidarci a prescindere e in modo acritico di ciò che avvalla le nostre convinzioni può portare a dare per buone anche delle fake news. Per questo sarebbe sempre meglio controllare che ciò che condividiamo sia vero! 

Oscar Giacomin  / CEO, Togo Media

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